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Rete di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana
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Oggi 05/05/2017 la Rai gioca con la storia della vita di un Ragazzo Venezuelano, non solo lo dichiara leader dei movimenti studenteschi dell’opposizione venezuelana ma addirittura dice che è deceduto per mano della Guardia Nazionale……….
Tenendo in considerazione che veniamo tutti a questo mondo per vivere secondo le nostre credenze, preferenze, ecc e che in base a queste facciamo delle scelte che ci porteranno ad ESSERE la persona che VOGLIAMO, NON è giusto che tutto ciò venga stravolto da interessi / concetti / credenze di persone estranee, ed ancora più ingiusto quando a farlo è un/una Giornalista di un altro paese in un’altro continente.
Essendo il proposito di questo Blog avvicinarvi alla VERITà dei fatti, riportiamo una parte di quanto è stato pubblicato in Venezuela su quanto è accaduto:
Juan Bautista López Manjarres (33) fu assasinato questo giovedì dentro la struttura dell’Istituto Universitario Tecnologico José Antonio Anzoátegui, ubicato ad El Tigre, nel sud del Venezuela.
Da quanto emerso dalle indagini preliminari, López Manjarres che era presidente della Federazione dei Centri studenteschi della Universidad Politécnica Territorial José Antonio Anzoátegui (UPTJAA), si trovava in una assemblea studentesca al termine della quale uno dei partecipanti si è avvicinato a López Manjarres e l’ha colpito con diversi colpi di pistola per poi fuggire a bordo di una moto verso la via nazionale El Tigre-Ciudad Bolívar.
Nel momento in cui è stato attaccato, il rappresentante studentesco dirigeva una assemblea sui corsi intensivi dell’università, quando sono arrivati i presunti assassini alle 10:30 am. Uno di loro, senza dire una parola, ha tirato fuori la pistola e le ha sparato, spiega il giornale locale El Tiempo, dove viene indicato che il crimine è stato compiuto da un sicario. Una versione sui fatti data dal giornale El Vistazo specifica che si sono sentiti al meno 23 spari.
López era stato vittima di un’altro attentato il passato 24 dicembre, nel settore La Charneca, dove risiedeva, secondo i dati emerografici.
Durante il triste accaduto sono state ferite tre persone: una nella regione cefalica y le altre due sulle gambe; queste persone sono state portate a un centro d’assistenza vicino al posto. Il Ministerio Público ha a nominato a Cristal Medina, Fiscal 4ª dello Stato (Regione) di Anzoátegui, per indagare sulla morte di questo giovane e le lesioni causate ad altre tre persone.
Venezuela Times
fate le vostre proprie conclusioni.
Links di riferimento
Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: secondo la Reuters, per l’occasione nella versione pubblicata dal Daily Mail lo scorso mercoledì 3 giugno, il pericolo per il governo bolivariano verrebbe dalle sue stesse fila a causa della dilagante corruzione fra i membri del partito.
“The republic is at risk” due to corruption, (…) “The revolution is at risk”.
Ex membri ormai dissidenti del Partito socialista al governo in Venezuela hanno richiesto, lo scorso mercoledì, un’investigazione governativa su una presunta frode multi-milionaria, che dicono essere prosperata sotto il rigido controllo sulla valuta da parte del paese sudamericano membro dell’OPEC.
Marea socialista, un piccolo gruppo di intellettuali di sinistra, nonché frangia del Partito socialista, ha detto che le compagnie corrotte e i politici complici stanno giocando con il sistemo valutario designato per controllare le variazioni sulle importazioni, dal cibo ai medicinali.
Sotto un complesso comando fondato nel 2003 dall’ex leader venezuelano Hugo Chávez, compagnie e individui fanno domanda di dollari ad un tasso di cambio preferenziale.
“Molti burocrati e operatori politici si sono avvantaggiati di questa opportunità per dissanguare il paese,” ha dichiarato Nicmer Evans, leader di Marea socialista, nell’ufficio dell’Amministratore finanziario di Caracas, dove insieme ad altri dissidenti ha presentato le loro richieste e cercato di presentare un nuovo sito per gli informatori che volessero denunciare le frodi.
Il gruppo ha stimato in circa 259 miliardi di dollari la cifra non conteggiata fin dall’implementazione del sistema. La stima è basata su informazioni e dichiarazioni pubbliche, inclusa l’ipotesi dell’ex direttore della Banca centrale che ammonta a 20 miliardi di dollari sottratti in un anno.
La pressione sta crescendo sul presidente venezuelano Nicolas Maduro per indagare sulle attività illegali, in mezzo alle inchieste dei media statunitensi sul traffico di droga degli alti funzionari venezuelani e alle recenti accuse secondo cui una banca di Andorra avrebbe facilitato il trasferimento di 4,2 miliardi di dollari connessi al riciclaggio di soldi nel paese.
“Andorra rappresenta solo la punta dell’iceberg, noi vogliamo arrivare fino alla radice del problema” ha detto Evans.
“La rivoluzione è a rischio”
Richieste di chiarimenti al governo non hanno ricevuto risposte.
Il governo Maduro in passato è stato incolpato di corruzione e additato come “traditore della rivoluzione” e promise di sradicare le mele marce.
Ma la frustrazione sui problemi, così come la percezione che Maduro difetti di leadership tra i colpi della crisi economica, ha solamente aumentato la frammentazione del blocco “chavista”.
La stessa Marea socialista ha recentemente abbandonato il partito, sebbene la domanda di diventare un’entità separata sia stata rigettata in maggio.
La critica del gruppo afferma che la corruzione è inerente al sistema a conduzione statale caldeggiato da Chávez, e domandano perché gli stessi membri non ne abbiano parlato prima.
Comunque i dissidenti socialisti sostengono che Chávez fece del suo meglio per sradicare la corruzione che da tempo tormenta la nazione ricca di petrolio, e dicono che queste pratiche sono più esplicite perché Maduro non ha lo stesso pugno duro del suo predecessore.
“La repubblica è a rischio” a causa della corruzione, ha avvisato Ana Elisa Osorio, ministro dell’ambiente dell’era Chávez e membro del Partito socialista, che sta spingendo per avviare le investigazioni.
“La rivoluzione è a rischio.”
Articolo originale:
http://www.dailymail.co.uk/wires/reuters/article-3109829/Dissenting-socialists-urge-Venezuela-investigate-corruption.html
I manifestanti sfilavano al grido di “Queremos frijoles, queremos maíz, queremos a Monsanto fuera del país”
Centinaia di migliaia di persone in America Latina hanno partecipato a un’azione mondiale contro l’impresa transnazionale Monsanto rifiutando il commercio di prodotti transgenici.
In generale, in tutto il mondo, milioni di persone hanno sfilato in più di 500 città contro il tentativo di introdurre semi transgenici in diversi paesi.
In Messico vari collettivi e organizzazioni sono scesi in strada esigendo che la transnazionale Monsanto “salga del país” (esca dal paese, ndr). I manifestanti sfilavano al grido di “Queremos frijoles, queremos maíz, queremos a Monsanto fuera del país”.
Anche nella città di La Plata, Argentina, molti giovani hanno protestato contro Monsanto. Con cartelli e striscioni hanno raggiunto il municipio della città.
Nel frattempo, a Santiago de Chile, circa mille persone si sono mobilitate per chiedere il ritiro di Monsanto e la fine del commercio di alimenti transgenici. La manifestazione ha chiesto al governo della presidente Michelle Bachelet l’espulsione dell’impresa e la fine della produzione dei semi ogm.
Secondo i movimenti che hanno protestato, infatti, il 90% degli alimenti prodotti è geneticamente modificato. Gli attivisti che rifiutano questo tipo di alimenti affermano che tale modello di produzione porta a malattie e morte, altera le proprietà del suolo e rade al suolo boschi e compromette la biodiversità. Hanno sottolineato poi la relazione tra i transgenici e la morte di api e altri insetti impollinatori, lo spostamento forzato di comunità originarie, la desertificazione, siccità e inondazioni.
Fonte: http://www.agenciapulsar.org/latinoamerica/realizan-marchas-contra-empresa-monsanto-y-los-transgenicos-en-toda-latinoamerica/
di Geraldina Colotti per CaracasChiAma
Gli editoriali di El Pais, in Spagna, definiscono riflessioni da “trogloditi” quelle che richiamano una similitudine tra gli attacchi che hanno portato alla caduta della “primavera allendista”, in Cile, e quelli che vorrebbero stroncare il socialismo in Venezuela.
Certo, lo scenario non è più quello del grande Novecento: da tempo i “Pinochet” hanno indossato il colletto bianco e, nella memoria artefatta dai grandi media, il colpo di stato in Cile dell’11 settembre del 1973 è stato soppiantato dal fragore che ha distrutto le Torri gemelle Usa, l’11 settembre del 2001. Soprattutto, non c’è più un campo socialista da abbattere. E anche il Vaticano sembra aver messo di lato la grande crociata dal papa polacco.
Obama non è Nixon e Kerry non è Kissinger, ma il piano per “far urlare l’economia” venezuelana, fatte le debite proporzioni, richiama fortemente quello orchestrato da Nixon contro il governo di Allende e ordinato allora alla Cia.
Come hanno provato i documenti desecretati a Washington, dai sottopalchi del potere Usa, nel corso del 1972 venne organizzato ogni genere di sabotaggio, economico, ideologico e militare per far cadere Allende, forzando sulle debolezze del suo governo.
Alla morte di Hugo Chavez, i poteri forti hanno pensato che potevano averla vinta con Maduro. Hanno intensificato gli attacchi. Guerra economico-finanziaria, discredito internazionale e sanzioni, tentativi di provocare “rivoluzioni colorate” modello balcanico, grancassa mediatica alimentata dalla retorica sui “diritti umani”, sono gli aggiornamenti di vecchie tattiche per far cadere governi non graditi ad ogni costo.
Obama non è Reagan, ma è comunque ostaggio del complesso militare-industriale, vero padrone degli Usa: a dispetto del Nobel per la pace, di bombe ne ha buttate parecchie. E non si deve dimenticare che, in America Latina, il 28 giugno ricorrono i cinque anni dal colpo di stato contro l’allora presidente Manuel Zelaya: “colpevole” di essersi voluto avvicinare all’Alleanza bolivariana per il popoli della nostra America (Alba), ideata da Cuba e Venezuela.
Benché le sinistre di alternativa siano da allora cresciute in Honduras, la truffa delle ultime elezioni mostra l’intenzione granitica dei poteri diretti da Washington di non farsi sfuggire un altro pezzo della torta centroamericana.
E vale ricordare anche il “golpe istituzionale” contro l’allora presidente del Paraguay Fernando Lugo, il 22 giugno del 2012.
Per via delle vicende mediorientali, gli Usa hanno parzialmente distolto l’attenzione dall’America latina. Ma ora hanno in corso il mega progetto di accordi commerciali e regionali, contemplato all’interno del Ttip con la Ue, e dell’Alleanza del Pacifico (Tpp) con i principali 12 paesi del bacino del Pacifico.
Un piano che mira a comprimere o a neutralizzare la promettente spinta delle nuove alleanze solidali promosse dal Venezuela, paese che custodisce le più grandi riserve petrolifere del mondo.
Al centro dell’Alleanza del Pacifico vi sono Colombia, Messico, Perù e Cile: i primi due sono sotto la presa del neoliberismo al soldo di Washington; il terzo, fallite le speranze riposte in Ollanta Humala, è semi-stordito dalle sirene delle grandi multinazionali e spalancato all’arrivo delle basi Usa; il Cile è impastoiato nelle dinamiche consociative e sta girando le spalle alla vera integrazione latinoamericana.
Che la figlia minore di Allende, Isabel, – eletta presidente del Senato per il partito della presidente Bachelet, Nuova Maggioranza – sia apertamente schierata con i golpisti venezuelani, la dice lunga sul corto circuito alimentato dai partiti di centro-sinistra, in America latina e in Europa.
Felipe Gonzalez, ex presidente del governo spagnolo ed ex presidente del Partito socialista ha mandato gli squadroni della morte (i Gal) contro i militanti baschi. E ora anima il gruppo internazionale “bi-partisan” che promuove le ingerenze in Venezuela.
Dalle Americhe all’Europa, la politica delle “larghe intese” considera il capitalismo un orizzonte insuperabile e ne tutela gli interessi. Diventa allora avversario da abbattere chi – come Cuba prima e il Venezuela ora – sta indicando un percorso alternativo.
In questo momento di rinnovato attacco al socialismo bolivariano, conviene ascoltare il monito del filosofo messicano Fernando Buen Abad :“Se non sapremo creare un grande movimento planetario in difesa della rivoluzione venezuelana, non ci basteranno i giorni per pentirci”.
Uno dei simboli di maggior successo della Rivoluzione Bolivariana è l’Educazione: sono stati diversi i riconoscimenti che l’Unesco ha elargito alla Repubblica Bolivariana del Venezuela in questi 14 anni, durante i quali il Presidente Chávez lavorò per effettuare cambiamenti profondi e radicali all’ interno della struttura sociale venezuelana. La Rivoluzione Bolivariana è un Processo imageschavezdi rottura progressiva verso tutte le tradizioni educative antecedenti. L’ aspetto fondamentale che emerge è che la Rivoluzione ereditò un Sistema Educativo neo-liberale caratterizzato dall’estrema esclusione nel quale un bambino o bambina, nascendo, avevano già 95% di probabilità di non poter entrare all’Università (privilegio delle famiglie più ricche), l’ 82% di probabilità di non avere il Diploma, il 62% di non arrivare al terzo anno di scuola media, il 38% di non terminare la scuola primaria , nonostante la legge sull’ Educazione garantiva gratuità ed obbligatorietà tra 1° grado e il terzo anno. Bambini e bambine prima dei 6 o 7 anni non avevano diritto all’educazione e non esisteva una Politica di Stato Pre-scolare. La rottura con questo sistema barbaramente escludente cominciò con la Costituente Educativa all’ interno del Processo Costituente Nazionale con il quale cominciò la Rivoluzione. Nacque così il Progetto Educativo Nazionale PEN ed all’ interno il Progetto Pedagogico Nazionale PPN si cominciò a strutturare il Nuovo Sistema di Educazione Bolivariano SEB, concepito come Continuo Umano CH (concetto legato all’ educazione permanente e continua) necessario per rompere gli schemi amministrativi e frammentari che imposero al Venezuela tanta esclusione sociale. Coloro che chi si rifiutano di comprendere quello che il Presidente Chavez tentò di sovvertire in profondità (ma che più della metà del paese comprese) per realizzare opposizione ad oltranza provocarono per il flagello BODI, Burocratismo, Opportunismo e Dispersione. Flagello che, nonostante abbia colpito anche la Rivoluzione, resta importante perché influì nel processo di strutturazione progressiva del SEB-CH, seguendo la concezione del Curriculum di Processo (con cui si intende l’ iter formativo del discende in base ai valori e principi bolivariani) che ebbe molto successo. Questo flagello che chiarì Lenin durante la Rivoluzione Russa ed il Che Guevara durante la Rivoluzione Cubana, i Venezuelani lo spiegano con il termine “Contra Continuo por Dentro” per la Rivoluzione Bolivariana. Le scuole Primarie, durante il processo Rivoluzionario, registrarono da subito un maggiore afflusso, mantenuto costante. Mentre le altre due: la scuola Media Inferiore e la Media Superiore, aumentarono parallelamente il numero di iscritti, tendendo a proiettandosi nel futuro. Questa tendenza nasce sviluppandosi in una Costituente Educativa che creò gradualmente la Escuelas Bolivarianas EB, Simoncitos, Liceos Bolivarianos LB, le Scuole Tecniche Robinsoniane ETR e l’Università Bolivariana . L’indice di crescita oscillò tra il 91,9% e il 92,9% al termine del 2003. L’esperienza ed apprendistato che lasciò la Prima Tappa della Rivoluzione, mette in evidenza l’urgente priorità nella Formazione Docente. Il dibattito permise un lavoro unito del MECD e Mese col Gabinetto per il Programma di Formazione di Educativo PNFE . Gli avanzamenti raggiunti con le Missioni Educativo Robinson, Ribas, Sucre, Girino Care (Sottosistema di Inclusione del SEB), la prassi nella realtà dell’implementazione rivoluzionaria dell’Educazione come Continuo Umano (Simoncito), Scuola Bolivariana, Liceo Bolivariano, Scuola Tecnica Robinsoniana, Università Bolivariana, Villaggi Universitari, missioni per la promozione dell’ interculturalità e dell’ Afro-discendenza, diedero adito ad una revisione dei PNFE delle Università vicine al Ministero di Partecipazione Popolare per l’Educazione; vi fu una “Nuova Tappa”, i Valori e i Principi Socialisti cominciarono ad essere il loro alimento fondamentale. La dinamica della formazione docente nelle Università pubbliche furono molto lente, ma non fu così per le Missione Sucre, i Villaggi Universitari, UBV UNERSR ed UNEFA dove fu più accelerato il PNFE. L’Educazione comparata per docenti portò alla nascita del VAE, il Vice-ministero dei Temi Educativi (responsabile del SEB-CH) che diressero dibattiti internazionali comparando le varie esperienze sopranazionali sulla formazione del corpo docente; si invitarono testimonial da tutta l’ America Latina e dalla Francia. Nella fase rivoluzionaria che avanzò dal 2000 al 2012 nacque il SEB-CH e le Missioni come Sistemi Inclusivi. La Rivoluzione poté lavorare attraverso i Nuclei di Sviluppo Endogeno e territoriale, fissando il tutto con le Missioni Sociali, innovazione che creò il superamento della povertà fino a ridurne l’estrema del 40% al 6% e la povertà generale del 60% al 20% . Nella geopolitica dei paesi che conformano il continente Sud-americano, i mandatari nazionali bolivariani stabilirono che le politiche pubbliche siano indirizzate all’attenzione sociale, ridisegnando i modelli di pianificazione, i progetti o le strategie, basate su una prosperità tangibile, con l’obbiettivo di ottimizzare le condizioni di vita, che riflettano i cambiamenti nel benessere collettivo e di un individuo che diventa coscienza di queste trasformazioni. L’ Opera più classica di filosofia politica che è la Repubblica di Platone, mette a fuoco il senso della giustizia e si interroga sul ruolo dello stato e dell’individuo. Nella sua concezione di Stato ideale la Repubblica configura la stratificazione delle classi sociali in tre categorie di individui: gli uomini che sviluppavano ogni tipo di commercio (gli artigiani), i militari che offrono sicurezza, una dirigenza politica composta da filosofi, uomini completamente disinteressati, una sorta di sapienti-asceti che rinunciano al superfluo e che intravedono nella politica una sorta di vocazione morale e spirituale. La società della Repubblica Platonica realizza ogni genere di attività, avendo come forza l’educazione e lo sport: la direzione nella quale l’educazione di un uomo lo avvia, determinerà la sua vita futura . Secondo Platone l’uomo è un essere sociale, non isolato, che lotta per conservare il suo ambiente e lo Stato ha il compito di equilibrare le virtù particolari. Perciò Platone progetta la struttura della sua Repubblica ideale in tre classi: filosofi, guerrieri ed artigiani. La sua opera è stata un lascito nella storia politica, un lascito a cui il Bolivarismo si è ispirato: Nessun uomo riuscirà a salvarsi qualora vorrà opporsi lealmente a voi o al popolo e impedire che nella sua patria avvengano ingiustizie e illegalità . La “democrazia” nella concezione bolivariana è lo spazio del confronto politico. La Cultura Venezuelana è stata soggetta ad anni di soffocamento ed alienazione straniera ma, attraverso le “missioni-culturali”, sono stati riscattati i valori che identificano le tradizionali-radici venezuelane. La creazione del Ministero della Gioventù stimola i bambini e i giovani alla partecipazione di iniziative artistiche e culturali, come la promozione della lettura, corsi di teatro, spettacoli di burattini, reading letterari, il recupero di storie locali e tutto quello che porta ad una sana partecipazione familiare e comunitaria. Le Nazioni Unite e l’Unesco, affermano che in America Latina il Venezuela sta al secondo posto in quanto a partecipazione e qualità universitaria, subito dopo Cuba . L’investimento annuale venezuelano è di 23 milioni di bolivar, creando quattro istituti universitari di tecnologia, sei università politecniche e dieci università bolivariane. Si è creato un Programma Nazionali di Formazione in aree strategiche, come la Missione Sucre e l’educazione universitaria si è municipalizzata. L’ obbiettivo della Missione Sucre è potenziare la sinergia istituzionale e la partecipazione comunitaria, per garantire l’accesso all’educazione universitaria a tutti i diplomati, coniugare una visione di giustizia sociale con carattere strategico dell’educazione superiore per lo sviluppo umano integrale sostenibile. La Missione Sucre promuove la sovranità nazionale e la costruzione di una società democratica e partecipativa, per la quale è indispensabile garantire la partecipazione della società tutta, anche dei soggetti che ne sono stati tradizionalmente esclusi (nativi, afro-discendenti, cittadini dei fondi e delle periferie).
FONTI:
http://web.unitn.it/files/quad44.pdf
http://www.fundaaldeas.org
http://www.altd.it/2012/10/15/america-latina-modello-sconfiggere-poverta/
http://www.oei.es/quipu/venezuela/Esc_Tec_Robinsonianas.pdf
http://www.cerpe.org.ve/tl_files/Cerpe/contenido/documentos/Actualidad%20Educativa/Curriculo%20Liceos%20Bolivarianos%20-%20MPPE%202007.pdf
http://lainfo.es/it/2015/03/03/la-costante-riduzione-della-poverta-estrema-in-venezuela/
http://digilander.libero.it/gotika/platone1.html
http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/PlatoneApologia.pdf
http://unesdoc.unesco.org/images/0015/001599/159982S.pdf
http://www.misionsucre.gov.ve/
tratto da http://www.ilsudest.it
Intervista a Erika Adriana Mindiola Rubín, giovane giornalista radiofonica Venezuelana.
Erika Adriana Mindiola Rubín nasce il 22 di Gennaio del 1980 in una parrocchia popolare di Caracas, Santa Rosalía, dove visse e crebbe durante tutta l’infanzia.
É madre di due figli, Jerverick e Jervin. Si iscrive all’Università Bolivariana del Venezuela nel 2005. Con la creazione dell’Università Bolivariana del Venezuela, si aprirono per la prima volta le porte della cultura per numerosi giovani bisognosi. Ugualmente per persone non più giovani ma desiderosi di imparare o aggiornarsi. Si offrì loro finalmente l’opportunità di studiare. Decide così di intraprendere il Corso di Laurea in Comunicazione Sociale, viene conquistata dal giornalismo che le fornì una visione rivoluzionaria dell’impegno, ingaggiandosi nella lotta sociale con i suoi concittadini per la promozione della Rivoluzione Bolivariana. Afferma che il suo impegno cominciò nella Radio Nazionale del Venezuela nel 2006, dove si occupò del Canale Informativo come Coordinatore. Dichiara: “Successivamente mi invitarono a far parte della squadra di produzione radiofonica nel Canale Giovanile della Radio Nazionale del Venezuela. Fui impegnata come assistente di produzione e presto divenni una giornalista completa: imparai l’arte del montaggio, a scrivere i copioni, ad organizzare la programmazione speciale, ad intervistare la gente comune per strada, etc…. Crebbi professionalmente e mi sentii orgogliosa della formazione professionalmente offertami. La Radio Nazionale del Venezuela è un’estesa scuola dove si formano validi e numerosi professionisti. Siamo come in una grande famiglia. Dico “siamo” perché io ed altri ragazzi lavoriamo in Radio, sentendoci come parte integrante e viva dell’intera struttura radiofonica. Mi innamorai delle onde hertziana, proprio immaginando tutto quello che può giungere all’uditore”.Erika ricorda come in Venezuela la Rivoluzione Bolivariana abbia prodotto numerosi cambiamenti in materia di salute, educazione e diritto all’ abitare. L’ ex presidente del Venezuela, Hugo Chávez Frias, in ogni discorso riconobbe l’importanza di una comunicazione scevra da pregiudizi razziali o da pregiudizi sessisti. Riconobbe la priorità di promuovere, nell’ informazione, un linguaggio non sessista. Segnando così una pietra miliare, nella storia nel nostro paese, proprio sulle questioni di genere. Hugo Chávez fece in modo che la Costituzione Nazionale desse più visibilità alla donna e che venisse eliminato il linguaggio sessista presente nella Carta Magna del 1961. L’ ex presidente, in ogni discorso pubblico, riconobbe il contributo delle nostre patriote ed eroine del passato. Riportò alla memoria le prime combattenti per l’indipendenza della patria, confermò il loro lavoro, la loro lotta e la loro costanza … Erika aggiunge: “Queste donne attualmente sono inserite sui libri di testo e pubblicamente riconosciute per il loro sforzo e le loro battaglie: è il caso di Luisa Cáceres de Arismendi, Apaguana, María-Rha, Oroconay, Urquía, Ana Francisca Pérez de León, Josefa Joaquina Sánchez, Josefa Camejo, Juana Ramírez La Avanzadora e Manuela Sáez. Ognuna di queste donne è un riferimento di lotta per la costruzione del socialismo ed un modello per le femministe venezuelane. È importante notare come, nel nostro paese, si valorizzi in ruolo storico e sociale della donna, non solo come madre, ma soprattutto come pensatrice, patriota o combattente. Il Ministero del Potere Popolare per la Comunicazione e l’ Informazione, insieme alla Commissione Nazionale delle Telecomunicazioni, sottopongono quotidianamente le diverse trasmissioni nazionali (sia radiofoniche che televisive) a vari controlli affinché si eviti di utilizzare un linguaggio sessista ed affinché si smetta di utilizzare il corpo femminile come incentivo alle vendite di prodotti commerciali”
E. M. R.: Le Donne Venezuelane in collaborazione con il Ministero del Potere Popolare per l’Uguaglianza di Genere, avendo come pilastro fondamentale il Piano per l’Uguaglianza e l’ Equità di Genere “Mamá Rosa” 2013-2019, approfondirono la trasversalità del problema e diedero rilevanza alla semina di valori egualitari come la “de-patriarcalizzazione” di tutti gli spazi da cui la donna precedentemente fu esclusa ed emarginata. Siamo un esempio da seguire per il mondo Latino-Americano ed i Caraibi. Durante la Quarta Repubblica e i governi venezuelani precedenti, non si prendevano in considerazione le donne dal momento che si trattava di una società maschilista che percepiva la donna solo come serva domestica. Con l’arrivo del Presidente Chávez noi donne ci siamo prese il posto che ci spetta.
3. In che maniera la creazione della Missione Madri del Quartiere ha cancellato lo stato di povertà ed isolamento in cui le donne povere vivevano nei sobborghi venezuelani?
E. M. R.: La rivendicazione della donna, il riconoscimento per il suo lavoro e la sua importanza nella formazione della società venezuelana, ottenne maggiore visibilità con la creazione della Missione Madri del Quartiere nell’anno 2006, sotto il decreto presidenziale numero 4.342. La Missione ha come scopo quella di sostenere le casalinghe che si trovano in stato di necessità attraverso la preparazione tecnica e la formazione per il lavoro, col fine ultimo di superare progressivamente lo stato di povertà nella cornice di uno sviluppo comunitario. In egual modo, questo programma contempla l’incorporazione di altri programmi sociali o missioni, come il lavoro di orientamento comunitario (una maggiore conoscenza delle risorse ed opportunità che offre il quartiere) ed il conferimento di un’assegnazione economica. Ne hanno beneficiato donne che svolgono lavori domestici; donne che soffrono di eccessiva dipendenza economica o psicologica da parte di uomini violenti o assenti, donne sole con a carico figli, genitori o altri parenti anziani o la cui famiglia non percepisce entrata di nessun tipo, o percepisce entrate inferiori al costo del cesto alimentare.
4. Oggi, in Venezuela, ogni anno le donne più povere diventano titolari di un progetto socio-produttivo, grazie al microcredito o alla formazione ricevuta da parte dei molti enti del Governo Nazionale. Quali sono i corsi più attivi e più frequentai delle donne?
E. M. R.: Prendendo in considerazione che il lavoro domestico debba essere retribuito, la Missione Madri del Quartiere riconosce il valore dei lavori che realizzano le donne nell’ambito domestico. La Missione offre attenzione integrale alle donne e alle famiglie in situazione di povertà estrema, al fine di garantire accesso ai diritti fondamentali. Per questo motivo, il successo di questa Missione dipende in larga misura dalle comunità. Per realizzare questi compiti ci si è accordati con i Comitati di Madri del Quartiere (CMB), queste sono istanze organizzate con l’obiettivo di esercitare una solidarietà diretta, sempre all’ interno della comunità. Sono iniziative effettuate per garantire diritti fondamentali alle donne più povere dei sobborghi, siano già beneficiarie o partecipanti della Missione Madri del Quartiere. È per questo motivo che il governo ha concesso 20.000 milioni di micro-crediti finanziari da parte della Banca Pubblica per sostenere piccole imprese femminili in materia di abbigliamento, artigianato o piccole imprese alimentari. L’ obbiettivo è quello di professionalizzare il più possibile il lavoro domestico (anche grazie a corsi di formazione), evitando che per la donna resti uno strumento di “oblazione-sacrificale” (come lo è stato nei secoli passati) ad esclusivo appannaggio di un ristretto ed isolato circuito familiare. Il lavoro domestico deve trasformarsi in uno strumento di riscatto economico e visibilità sociale all’ interno di comunità ben più ampie. Le donne non cucineranno (stireranno, cuciranno, puliranno, etc.) esclusivamente per la loro famiglia ma anche per il caseggiato più vicino o per l’ intero quartiere, in modo tale da trarne un beneficio economico (un salario) e acquisire maggiore partecipazione alla vita civile. Tutto sempre nell’ ottica di incoraggiare il lavoro femminile e le pari opportunità.
Per questa ragione sempre più donne Venezuelane occupano cariche importanti nel nostro paese, senza trascurare i tradizionali ruoli di moglie e madre. Commemorando e celebrando sempre il Nostro Gigante che è e sarà sempre il Nostro Femminista più Amato, il Comandante Eterno Hugo Chávez Frìas.
Un autentico socialista è anche un autentico femminista.
Hugo Chávez Frìas
Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: no, non è Roberto Saviano in missione per il New York Times, ma l’articolo a firma Associated Press propone la stessa storia amaramente apprezzata sui media nazionali: alti funzionari boliavariani accusati di impeachment col narcotraffico.
Venezuela has become a key transit country for cocaine produced in Colombia, with several government officials and high-level members of the military sanctioned by the United States
BOGOTA, Colombia – Un piccolo aereo, in volo dal Venezuela con più di una tonnellata di cocaina a bordo, è precipitato nei Caraibi lo scorso mercoledì dopo essere stato inseguito dall’aviazione colombiana.
Questo è il solo punto di accordo tra le autorità dei due paesi, ciascuno dei quali si prende il merito mentre offre versioni discordanti su come sia stata sventata la fuga.
Un video realizzato dall’aviazione colombiana mostra un Hawker 800 intercettato dai caccia dopo essere entrato nello spazio aereo del paese intorno alle 2:30 del mattino. Ufficiali riferiscono che il pilota tentava la fuga, ma si è schiantato sulle coste di Puerto Colombia a causa di un guasto di uno dei motori.
La guardia costiera ha trovato il corpo del pilota, la cui nazionalità non è stata accertata, in mezzo ai rottami con 1,2 tonnellate di cocaina, imbustata in pacchetti da un chilogrammo.
Ore dopo, il ministro della difesa venezuelano Vladimir Padrino è apparso sulla rete televisiva nazionale per contestare la versione colombiana.
Padrino ha dichiarato che l’aereo è atterrato su una pista clandestina nello stato di Apure, ovest del paese, appena dopo la mezzanotte. Quando alcune ore dopo l’aereo ha ripreso il decollo, jet venezuelani hanno ordinato al pilota di atterrare, ma al suo rifiuto gli spari hanno colpito il velivolo.
Il ministro ha detto che le autorità venezuelane hanno perso le tracce dell’aereo sospetto subito dopo il passaggio della frontiera, procedendo ad allertare le controparti colombiane.
Il Venezuela è diventato un paese chiave per il transito della cocaina prodotta in Colombia, con numerosi funzionari di governo e alti membri delle forse militari sanzionati dagli Stati uniti per, secondo quanto riportato, collusione con i narcotrafficanti. Ma molta della cocaina è trasportata a nord verso il Centro America su rotte che evitano lo spazio aereo colombiano, saldamente controllato in cooperazione con gli Usa.
Sin dal 2013, le autorità venezuelane dicono di aver abbattuto o neutralizzato 90 aeroplani che trasportavano più 180 tonnellate di cocaina.
Articolo originale:
http://www.nytimes.com/aponline/2015/05/20/world/americas/ap-lt-colombia-venezuela-drug-plane.html
Ci sono troppi insegnanti latini a impartire lezioni, insegnanti che non conoscono la nostra lingua. Non vengono formati e oltretutto non utilizzano i nostri libri. Quello che vogliamo è che i nostri figli non perdano la cultura materna
Dal 2010 le autorità hanno promesso un’educazione interculturale nelle zone provinciali.
Fu allora che la Banca Mondiale concesse 4.5 milioni di dollari al Ministero dell’Educazione (Meduca) per iniziare il Programa Intercultural Bilingue (PIB).
Sono stati portati avanti gli studi, ma il modello del progetto non è mai iniziato.
L’attuale responsabile del Meduca, Marcela Paredesde Vázquez, assicura che anche se il piano iniziale non è stato attuato, l’educazione bilingue indigena è ancora in piedi. Cio nonostante il maggioritario gruppo nativo del paese, i ngabebuglé, non la pensano allo stesso modo.
“Ci sono troppi insegnanti latini a impartire lezioni, insegnanti che non conoscono la nostra lingua. Non vengono formati e oltretutto non utilizzano i nostri libri. Quello che vogliamo è che i nostri figli non perdano la cultura materna”, dice Alberto Montezuma, del Congreso General Ngabe-Buglé.
Dati del suddetto Congresso ribadiscono che il Colegio Petita Santos, il centro educativo situato alle periferie del territorio indigeno, conta 36 maestri. Tra questi, solo 8 sono nativi.
In altri collegi, come quello di Alto Chamí, nel cuore del territorio, di 40 educatori solo il 10% sono indigeni; lo stesso vale per il collegio di Quebrada Bea, dove i nativi sono 5 su 30.
“Non ci opponiamo al fatto che i latini insegnino ai nostri figli. Ciò che reclamiamo da sempre è che, nei primi tre gradi scolastici, incluso il grado prescolastico, gli educatori siano indigeni così che i nostri figli possano usufruire dell’educazione bilingue nei primi anni d’età”, aggiunge Montezuma.
D’accordo con il Meduca, quest’anno è iniziato una sorta di censo degli insegnanti indigeni per formarli a un’educazione interculturale bilingue, ma nel frattempo l’istituzione affronta altre problematiche, quali l’assenza materiale di infrastrutture per collegi di educazione media.
L’unico obbiettivo proposto dall’Onu, infatti, che abbia raggiunto Panamá, è stato la copertura totale dell’educazione primaria. Allo stesso tempo, il governo riconosce il deficit nell’educazione media e lo attribuisce, per l’appunto, alla mancanza di infrastrutture.
In cerca di una soluzione, il Meduca vuole investire più o meno 150 milioni per la costruzione di almeno 10 collegi in terre provinciali.
“La prima cosa che faremo è costruire un collegio nell’area di Llano Tugrí, così che anche i giovani di quell’area possano studiare, se lo desiderano”, ha anticipato la ministra, che spera che già da quest’anno vengano iniziati i lavori di costruzione.
Fonte: http://laestrella.com.pa/panama/nacional/indigenas-reclaman-educacion-intercultural/23866531
“Quando la nostra disgrazia sarà consunta ed avrà fine? Ci sarà allora amica la fortuna e ci risveglieremo un giorno dal letargo? Un conquistatore emergerà tra noi e si rivelerà un re? Se noi avessimo un re il nostro denaro diverrebbe moneta battuta, e non resterebbe così sotto la dominazione del turco. Noi non saremmo rovinati nelle mani del gufo. Dio ha fatto così: ha posto il turco, il persiano e l’arabo sopra di noi. Mi stupisco del destino che Dio ha riservato ai Curdi. Questi Curdi che con la sciabola in mano hanno conquistato la gloria. Come è stato che i Curdi sono stati privati dell’impero del mondo e sottomessi agli altri? I Turchi e i Persiani sono circondati da muraglie curde. Tutte le volte che Arabi e Curdi si mobilitano, sono i Curdi che si bagnano nel sangue. Sempre divisi, in discordia, non ubbidiscono l’uno all’altro. Se noi fossimo uniti, questo turco, questo arabo e questo persiano sarebbero i nostri servitori”. Ahmede Khani in Memozin (risalente al XVII secolo)
1) Come nasce l’ idea di fondare un Istituto Internazionale di Cultura Kurda?
Come intende, l’Istituto Internazionale di Cultura Kurda, difendere il patrimonio culturale e storico del popolo kurdo?
S.A.: In realtà si tratta di un progetto concepito diversi anni fa. In passato vi sono stati diversi tentativi di realizzare iniziative di questo genere. Come succede in queste circostanze, spesso le idee si arenano.
Tuttavia cinque anni fa, nel 2011, tentai di contattare personalmente accademici, scrittori e intellettuali per proporre protocolli d’intesa, accordi, iniziative e programmi di seminari e convegni.
Le proposte andarono a buon fine, perciò siamo riusciti a stipulare diversi accordi con Accademie ed Istituti culturali, sia italiani e stranieri.
Nostro proposito è la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio culturale di tutta la regione del Kurdistan, promuovere la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e della comunità scientifica sui temi della tutela del patrimonio culturale kurdo, caldeggiare attività di formazione, sia in loco che in Italia, concernente la storia ed il vasto patrimonio artistico e culturale del Kurdistan.
Obiettivi specifici del programma sono relativi alla necessità di proporre e realizzare incontri, seminari e corsi di formazione, favorire lo sviluppo del territorio kurdo e del vasto patrimonio artistico, anche attraverso un approccio partecipato di più enti ed individui coinvolti nel processo. Un’ esempio delle diverse iniziative realizzate è quella del 18 gennaio 2015 sui
“Mutamenti geopolitici in Medio Oriente, i casi di Shengal e Kobane, le prospettive future del Kurdistan”. Il primo incontro si tenne alla Camera dei Deputati, il secondo a Torino.
In cantiere vi sono numerosi altri progetti. Perciò suggerisco di consultare il sito: http://istitutokurdo.org/it/
2) Come mai la lotta per l’autodeterminazione kurda resta sostanzialmente misconosciuta, almeno fino alla Guerra del Golfo?
S.A.: Il Kurdistan per secoli si trovò incagliato tra le alterne vicende dell’ impero ottomano e dell’impero persiano.
Fino al XVI secolo i principi curdi continuarono a governare il proprio territorio situato a cavallo tra i due imperi, un periodo relativamente felice per i principati curdi che terminò con il Trattato di Gialdiran del 1514, con il quale si definirono e limitarono i confini dei principati-curdi con la Persia. In questo modo i Curdi si trovarono frazionai e sfruttati dallo Shah e dal Sultano-Califfo per calcoli strategici. Ebbe così inizio la lunga storia di questo popolo che si trovò impotente di fronte ai capovolgimenti delle alleanze del nemico. Probabilmente l’unica unione effettivamente concretizzata fu quella risalente al periodo del Sultano d’Egitto e Siria e Hijaz (dal 1174), più noto come Saladino. Fondatore della dinastia degli Ayyubidi è annoverato tra i più grandi strateghi di tutti i tempi, ma si trattò di un’ unione di carattere religioso. Dopo lunghi anni di ininterrotta guerriglia, si dovette attendere il funesto 1975 quando con un’intesa intercorsa tra l’Iraq e l’Iran, in occasione della conferenza dell’O.P.E.C. ad Algeri, si condusse alla resa finale del leader kurdo Mustafà Barzani, che si ritirò negli Stati Uniti e vi morì quattro anni dopo. La capitolazione fu criticata in quanto la guerriglia curda disponeva di forze ancora inalterate. Tuttavia fu comprensibile in quanto un eventuale tradimento dell’Iran avrebbe ben presto fatto mancare i mezzi materiali per continuare la lotta contro l’Iraq. Con l’accordo di Algeri, l’Iraq declinò la riva orientale dello Shatt-al-Arab a favore dell’Iran. Questa concessione fu la causa principale dell’invasione irachena del 1980. All’epoca della lunga guerra irano-irachena, i Curdi hanno ricostruito la guerriglia fino a controllare vaste zone di territorio montuoso sia in Iran sia in Iraq. L’apprensione irachena per le dimensioni assunte dal problema della guerriglia-interna ha spinto il governo centrale, non senza stimolare le reazioni di tutto il mondo occidentale e dell’O.N.U.,ad un massiccio intervento con armi chimiche contro la popolazione civile curda: Halabja è così diventata la Hiroshima curda.
La fine della “Prima Guerra del Golfo” nel 1988 ha prodotto un ulteriore aggravamento della posizione curda, ossequiando il copione secondo il quale un’intesa fra gli stati che sfruttano a proprio vantaggio la guerriglia curda non fa altro che peggiorare la posizione di quest’ultima, sia in uno stato sia nell’altro: prova ne è l’esodo dell’ottobre 1990 di numerosi guerriglieri e dirigenti politici curdi da Teheran verso l’ovest, in particolare Londra.
Dopo il crollo del muro di Berlino franò tutta l’impostazione strategica degli anni precedenti e lo scenario internazionale cambiò.
Certamente anche la caduta di Saddam Hussein ha fatto in modo che, per la prima volta nella storia, venisse catapultata nell’ agorà-mediatico, la “questione-curda”.
3) Come si è formata la sua identità?
Come vive il dilemma di essere membro di un popolo storicamente oppresso ed osteggiato?
Come influisce questo nella sua sfera privata?
S.A.: Si tratta di un’ aspetto che riguarda l’ identità, ma la stessa identità è qualcosa di molteplice. Ognuno porta dentro di sé una sudditanza verso il proprio vissuto ed il proprio background. Esiste un’ identità etnica, come esiste un’ identità familiare, di “classe”, di “genere” o religiosa. Non ho mai dimenticato di essere curdo ma, nello stesso tempo, non ho mai avuto problemi e chiusure verso l’alterità.
Mi sento, nel contempo, anche italiano.
Sono ugualmente cosciente di essere membro di un popolo perseguitato. Tento tuttavia di superare la questione facendo in modo che venisse maggiormente conosciuta la nostra realtà culturale, in modo tale che gli altri possano riconoscere elementi positivi in noi e viceversa.
Inoltre sono convinto che l’oppressione tanto è più grande, tanto si sviluppano notevoli capacità di resistenza, rinvigorendo così la tempra di un popolo.
4) Il popolo kurdo è un popolo oppresso da diversi anni, direi da vari decenni. Nonostante ciò, ha sempre ricevuto scarsa visibilità, non si è mai trovato sotto i riflettori di tutto il mondo. L’ oppressione spesso è stata vissuta nel silenzio. In che modo, queste ultime e continue attenzioni-mediatiche hanno influito nella percezione di voi stessi, della vostra identità?
S.A.: Ritengo che il nuovo indirizzo dei media e l’opportunità che stiamo vivendo in questo momento, cioè di disporre di vari riflettori-mediatici internazionali, sia un’ occasione unica. L’ opportunità di realizzare una società curda migliore.
L’ opportunità di acquisire maggiori capacità politiche nel gestire una situazione delicata, senza attribuire responsabilità agli altri.
Oggi abbiamo più impegni poiché abbiamo l’ occasione di avere maggiore visibilità e maggiore unione politica.
Se saremo abili e altrettanto capaci, probabilmente riusciremo a costruire una società curda migliore ottenendo, nello stesso tempo, più indipendenza.
Autonomamente da quello che “altri” possano dire o affermare a riguardo…
5) Mi rende fortemente perplessa il fenomeno di glamourizzazione della guerriglia-curda.
Il fatto che i media-occidentali abbiano ritratto e dipinto le soldatesse con modalità glamour,
rappresentandole come modelle di riviste di “tendenza”.
È vero che si raggiungono enormi masse, anche masse di individui assolutamente qualunquistici che, fino a ieri,
non erano consapevoli dell’ esistenza di un popolo kurdo.
Ma non pensa che sia anche un modo per “banalizzare” la complessa e drammatica storia del popolo curdo,
nonché la drammaticità dell’ attuale-situazione storica (mi riferisco alla lotta al terrorismo)?
S.A.: Il fatto che esistano diversi ragazzi, assolutamente inconsapevoli, che fino a ieri non conoscevano l’ esistenza di una “questione-kurda”, ma che attualmente appoggiano la causa di Kobane, mi rende felice.
Se un’ azienda di moda, come H&M, si ispira alle nostre “fogge” per creare abiti alla “moda”, vuol dire che abbiamo vinto, che abbiamo conquistato il mondo ed anche gratuitamente!
Inoltre ritengo che non ci sia nulla di drammatico e tragico nel combattere una guerra e nel vincerla.
Piuttosto non vi è nulla di più tragico e drammatico che correre il rischio che un’ identità-culturale e sociale venga cancellata e dimenticata dalla storia.
Questo non possiamo permetterlo! Perciò guardo con simpatia tutti i fenomeni (gli ultimi) che “flirtano” con i nostri costumi e la nostra cultura, anche se attraverso una “glamourizzazione” degli stessi.
6) Ma non pensa che questa massificazione possa anche costituire una “banalizzazione” della causa?
Renderne riduttivo il senso ed il messaggio.
S.A.: Fino ad ora, la grande-stampa, quella “ufficiale” (mi riferisco a Repubblica, Il Corriere della Sera, il Messaggero, etc.) è sempre stata molto corretta ed attenta nel descrivere gli ultimi accadimenti dal mondo curdo.
Indubitabilmente esistono anche “provocatori” e persone che tentano di “deformare” e “volgarizzare” il nostro messaggio,
ma la questione non ci riguarda.
Si tratta di minoranze o fenomeni marginali. In questo preciso momento abbiamo questioni più gravi ed urgenti da affrontare.
Non vi è alcun proposito di indugiare oltre su “quisquilie” riguardanti il mondo della “comunicazione”,
almeno fino a quando la grande-stampa internazionale continuerà ad agire correttamente ed obbiettivamente nei nostri confronti.
7) Lei ritiene che il popolo kurdo abbia ricevuto un’ adeguato supporto-internazionale nella lotta al terrorismo dell’ Isis?
O vi sono state delle omissioni?
S.A.: Il popolo curdo è un attore come tanti, in questa guerra al terrore.
Certamente è uno degli attori principali e probabilmente tra i più colpiti.
Ma esistono delle alleanze militari con altri popoli ed altri governi.
Il popolo curdo ha portato a termine degli accordi.
Grazie a questi accordi abbiamo acquisito un riconoscimento internazionale nella lotta al terrorismo.
Le nostre guerrigliere hanno dato un enorme contributo alla lotta ma non erano sole.
8) Il Confederalismo Democratico (noto anche come comunalismo curdo o apoismo), è la proposta del Movimento di Liberazione Curdo per procedere nella liberazione del Kurdistan, in che modo questa dottrina viene interpretata ed applicata nell’ attuale Kurdistan-Iracheno?
Democrazia, socialismo, ecologismo e femminismo, sono i concetti-chiave per comprendere il Confederalismo Democratico del Movimento di Liberazione Curdo.
In che modalità il Kurdistan-Iracheno vive questi nuovi paradigmi? Come fece notare Andrés Pierantoni G. alla conferenza “Sfidare la Modernità Capitalista II” tenutasi ad Amburgo il 3-5 Aprile 2015, in Bolivia ed Ecuador, il concetto di Plurinazionalismo si intreccia con le comunità indigene o afro-discendenti radicate alla loro “Pacha Mama” e alle loro tradizioni, come lo sono le comunità del Rojava; nel caso del Venezuela, invece, è tipico di comunità per lo più urbane e sradicate, simili ai ghetti curdi, ad esempio nella periferia di Istanbul.
Ocalan affermò che “il confederalismo democratico”, propone:
“un tipo di auto-amministrazione in contrasto con l’amministrazione dello Stato-nazione … Nel lungo periodo, la libertà e la giustizia può essere raggiunta solo all’interno di un processo confederale e democratico dinamico. Né il totale rifiuto, né il pieno riconoscimento dello Stato sono utili per gli sforzi democratici della società civile. Il superamento dello Stato, in particolare dello Stato-nazione, è un processo a lungo termine”.
In quale circostanza il popolo curdo comprese che progetto di costituire un classico modello di Stato-Nazione, in realtà, si presenta come impresa sconveniente ed inefficace?
Come ci si relaziona ai nuovi valori?
S.A.: Questa dottrina non è molto diffusa nel Kurdistan iracheno ma viene promossa nel Kurdistan turco ed ha trovato una sua prima-applicazione nel Rojava (Kurdistan-Sirano).
Il Kurdistan-iracheno attualmente è lontano dall’ “apoismo” ma ne condivide il progetto di comunità “non statale”, l’ idea di una creazione di comunità autonome confederate come critica allo Stato-Nazione di matrice continentale, in quanto percepito come ostacolo al diritto dei popoli ed alla loro autodeterminazione. Il confederalismo democratico sarebbe, quindi, un’ idea ampiamente condivisa anche nel Kurdistan-Iracheno.
Il progetto resta quello di riuscire a creare vari Stati-Federati Kurdi, autonomi ed indipendenti.
Attualmente, nel Kurdistan-Iracheno non è molto vivace il dibattito sull’ ecologia. Mentre esiste da più di un secolo un movimento femminista, nato e sviluppatosi attraverso le varie lotte partigiane.
Le prime femministe erano attiviste della sinistra-laica irachena. La donna, nella comunità kurda, ha sempre avuto un ruolo-chiave o di primo piano.
Nella società-curda se la donna è capace e desidera diventare ingegnera, dirigente o ambisce ad una carriera-politica non incontra molte difficoltà od opposizioni nel realizzare i propri desideri.
L’ autorità di una donna è facilmente accettata.
Tutt’ ora, se si passeggia tra i villaggi kurdi più tradizionali, è facile incontrare donne-kurde vestite in fogge maschili ed immerse, spesso, in attività e mestieri in altre culture considerati prettamente “virili”, come portare mattoni, costruire o riparare case, etc.
Nonostante ciò, sono ancora molto diffusi (come in tante parti del mondo) casi di stupro e/o di violenza-domestica.
Tuttavia l’ attuale governo iracheno garantisce, a tutte le donne che hanno subito violenza,
servizi di assistenza sanitaria e psicologica gratuita, nonché assistenza-legale e varie forme di “protezione”.
Nell’ amministrazione pubblica e politica sono stati fissati dei parametri ben-precisi:
si garantisce per ogni carica un 30% di quote rosa.
Tutte misure ampiamente rispettate e mai messe in discussione.
Il popolo kurdo tutt’ ora è attaccato e perseguitato dal terrorismo e dall’ integralismo anche
grazie alla sua laicità ed ad una maggiore attenzione dimostrata verso il mondo femminile.
Aspetti che, nell’ attuale contesto Mediorientale, minato da varie forme d’ integralismo, terrorismo e nazionalismo-militarista,
non sono visti di buon occhio.
11) In che modo avete guardato (o guadate tutt’ ora) all’ esperienza Latino-Americana?
S.A.: Non sono molto “addentrato” nella questione… So che diversi intellettuali e diversi giornalisti notano insolite similitudini, concomitanze e sincronismi tra l’ esperienza del Plurinazionalismo latino-americano di ispirazione Bolivariana ed il nostro Confederalismo-democratico.
Sarebbe senz’ altro utile, per il futuro, creare un’ osservatorio-politico che approfondisca ed esamini le corrispondenze e le similitudini tra i due modelli proposti.
Articolo tratto da www.ilsudest.it
The goal of “Maduro Mango Attack” is to accumulate points by throwing tropical fruit at the socialist leader
Due venezuelani, emigrati per sfuggire alla crisi economica del paese, stanno dispensando risate con un gioco per telefoni cellulari che deride il presidente Nicolas Maduro per la sua decisione di dare una nuova casa alla donna che gli lanciò un mango per attirare l’attenzione alla sua supplica di avere un alloggio.
Lo scopo di “Maduro Mango Attack” è di accumulare punti tirando frutti tropicali al leader socialista che passa freneticamente nello schermo a ritmo di musica elettronica, intramezzato dalle urla di illustri capi dell’opposizione che scatenano la loro furia.
I giocatori sono inoltre ricompensati con la possibilità di scuoiare il presidente dell’Assemblea Nazionale Diosdado Cabello, che si pavoneggia con una borsa piena di dollari, e di colpire l’ex presidente Hugo Chávez, incarnato da un piccolo uccello in un berretto rosso – allusione all’osservazione di Maduro durante la campagna elettorale in cui Chávez lo avrebbe visitato in “forme svolazzanti” .
Secondo Google Play, negozio online per i giochi, nella settimana di debutto più di 10.000 persone hanno scaricato l’applicazione gratuita.
Il gioco è stato ispirato da un incidente dello scorso mese, in cui una donna scagliò un mango sulla testa di Maduro mentre guidava un bus attraverso una folla di sostenitori. Successivamente, sulla tv nazionale, Maduro mostrava il mango dove Marleny Olivo aveva scarabocchiato il suo numero di telefono, ammettendo poi la preghiera della donna per una nuova casa.
Scarpe, torte e uova rimangono gli oggetti più popolari da lanciare ai disprezzati politici di tutto il mondo. Ma il missile lanciato a Maduro proviene interamente dai sostenitori; il presidente inizialmente accolse positivamente la tendenza, “è il momento del mango” scherzava il 28 aprile, e, per l’umiliazione delle sue guardie del corpo, incoraggiava i fan a consegnare la frutta con le loro richieste di aiuto al governo.
Tuttavia, recentemente ha tentato di smorzare i toni: “dovete fare attenzione compagni,” ha detto Maduro al corteo del primo maggio dopo aver evitato una maglietta contenente qualcosa di pesante. “Qualche volta una gentilezza può tramutarsi in qualcosa di completamente diverso.”
Fernando Malave, uno dei creatori del gioco, ha detto che non intendeva incoraggiare la violenza contro il presidente, ma piuttosto usare l’umorismo per attirare l’attenzione sui problemi del Venezuela. Malave ha dichiarato che assieme al suo socio, Gabriel Diaz, si trasferirono in Argentina lo scorso anno per cercare lavoro, stufi dell’alto tasso di criminalità e le scarse prospettive lavorative in mezzo ad una crisi economica segnata da una crescente inflazione e una diffusa mancanza di beni.
Le difficoltà hanno dimezzato il consenso nei confronti di Maduro da quando è stato eletto presidente nel 2013, toccando il fondo con il 28% in un sondaggio raccolto dall’agenzia locale Datanalisis in aprile.
“La gente è stanca e tutti vogliono un cambiamento, ma non sanno che tipo di cambiamento,” ha detto Malave. “Fortunatamente lo spirito, che ha sempre unito i venezuelani, riesce ad alleviare lo stress quotidiano.”
Articolo originale:
http://www.nytimes.com/aponline/2015/05/06/world/americas/ap-lt-venezuela-maduro-mango-attack.html
Traduzione di Raffaele Piras
Presupposto:
Il governo e le FARC-EP hanno iniziato a Cuba un tavolo di dialogo per porre fine al conflitto armato che ha dato luogo a quasi cinque milioni di desplazados e più di 600 mila morti in 50 anni.
Circa 36 popoli indigeni dell’Amazzonia colombiana apporteranno nuove idee al Governo di Juan Manuel Santos per consolidare la tanto ambita pace che il popolo colombiano chiede da più di 50 anni.
Il documento sarà presentato durante il sesto Congresso dei Popoli Indigeni che avrà luogo nella città di Villavicencio (centro colombiano) il prossimo 19 e 20 maggio 2015.
“Rendere visibili le condizioni nella quale vivono gli indigeni e sviluppare un documento dei nostri contributi e delle nostre esigenze nella costruzione della pace è parte del nostro obbiettivo”, ha assicurato il portavoce dell’Organización de los Pueblos Indígenas de la Amazonia Colombiana (Opiac), Henrry Cabria Medina.
La Opiac è un’organizzazione che cerca di promuovere, sviluppare e stimolare meccanismi per l’interazione dei popoli e organizzazioni originarie dell’Amazzonia Colombiana, articolando processi con lo Stato e con le ONG nazionali e internazionali.
A inizio aprile 2015, migliaia di colombiani hanno marciato in appoggio ai Diálogos de Paz che mantengono il Governo del presidente Juan Manuel Santos e le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia-Ejército del Pueblo (FARC-EP) a La Habana.
Leggi anche, sul fallimento del Plan Colombia : http://www.telesurtv.net/news/Fracaso-millonario-de-EE.UU.-con-el-Plan-Colombia-20150505-0041.html
Fonte : http://www.telesurtv.net/news/Indigenas-aportaran-ideas-para-la-paz-de-Colombia-20150506-0043.html
di Davide Angelilli (Caracas Chiama) per CubaInformazione
Dal 17 aprile, sta girando per tutta Europa una carovana composta da familiari, amici e compagni dei 43 studenti “normalistas” sequestrati dalla polizia messicana e tuttora “desaparecidos” in seguito alla cruenta repressione di una manifestazione popolare avvenuta circa Sette mesi fa nello Stato di Guerrero in Messico. Mercoledì scorso la caravana è giunta a Roma, dove si è realizzato un importante incontro con i collettivi studenteschi della capitale italiana. Gli studenti sono i protagonisti nelle Scuole “Normales” rurali, sorte negli anni Trenta per fare dell’educazione un “fortino” dell’emancipazione delle classi più povere del Messico.
La scuola di Ayotzinapa, dove studiavano i 43 giovani tuttora scomparsi, prende il nome di Raúl Isidro Burgos: il giovane professore che fondò questa scuola, stimolato dalla solidarietà verso gli sfruttati delle comunità contadine. Il messaggio che la carovana ha trasmesso a Roma è chiaro. Si tratta proprio della solidarietà e della complicità a favore delle classi più povere quello che non tollera lo Stato messicano, nonché il sistema di potere che governa il paese. Una solidarietà, quella delle Scuole “Normales”, che, di fatto, si materializza in educazione pubblica aperta a tutti, diretta alle comunità rurali e indigene. Un’educazione del tutto in antitesi con quella promossa dal governo di Enrique Peña Nieto che privatizza tutto ciò che è possibile, colpendo duramente ogni giorno sempre di più i diritti sociali del popolo.
Dinnanzi alla più completa impunità nei confronti della polizia, tutti coloro che sono solidali con gli studenti si stanno riversando nelle strade per urlare la loro indignazione nei confronti della corruzione dilagante all’interno delle più alte sfere governative completamente colluse con le élites criminali che padroneggiano in Messico. Un grido di rabbia e di rivolta che accomuna non pochi settori popolari del paese: dai movimento zapatista fino ai sindacati. Una lotta trasformatrice, che la carovana ha trasmesso fino a sotto l’Ambasciata di quel paese nordamericano in Italia, trovando la solidarietà attiva da parte dei movimenti sociali di Roma. Dopo l’azione di protesta sotto l’Ambasciata, ha avuto luogo un dibattito pubblico presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Con la partecipazione di comitati di migranti, organizzazioni della sinistra italiana e collettivi studenteschi.
Tra questi, i giovani della “Sapienza Clandestina”, che nei giorni anteriori avevano realizzato azioni in seno all’Università per sensibilizzare e informare sul caso dei “Normalistas”. Così come in Messico, anche in Italia le organizzazioni studentesche si stanno mobilitando con forza contro la privatizzazione dell’educazione e in difesa del diritto allo studio. Da oltre due anni l’organizzazione “Sapienza Clandestina” ha occupato uno spazio dentro l’università – una delle più grandi d’Europa – trasformandolo in un centro sociale.
Il movimento ha due obiettivi principali: (1) che gli studenti diventino i veri protagonisti all’interno dell’Università; (2) che si pongano le basi per l’organizzazione di una Resistenza contro la distruzione sistematica dell’università pubblica. Come già è accaduto in passato, il movimento studentesco non è isolato. In questa lotta gli studenti sono accompagnati da parecchi movimenti sociali e politici della Capitale, ivi compreso il Coordinamento per il Diritto alla Casa. Sicché, all’interno di questa lotta, le iniziative internazionaliste hanno sottolineato l’importanza di costruire relazioni di solidarietà contro lo stesso nemico: il modello capitalista e neoliberale a livello mondiale.
[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Alessandro Pagani]
di Geraldina Colotti per CaracasChiama
Nello stato del Delta Amacuro, in Venezuela, le popolazioni indigene che abitano le comunità fluviali si spostano sulle canoe e vivono su palafitte. Ma anche da loro è arrivata la Misión Vivienda, attraverso la quale il governo socialista si propone di fornire a chi ne ha bisogno una casa popolare arredata. Finora ne sono state costruite 700.000 in tutto il paese, e l’obiettivo è di arrivare ai 3 milioni entro il 2019. Per le comunità del Delta Amacuro, però, le case popolari vengono tirate su in forma di palafitte: ognuna di 70 mq, provviste di cucina e bagno. Nonostante le difficoltà incontrate per trasportare il materiale, finora ne sono state costruite 30, 15 per ogni località e si prevede di terminare l’intero lavoro entro fine anno. Un modo di rendere concreto quanto enunciato dalle linee strategiche del Plan de la Patria 2013-2019 in cui risulta centrale il tema dell’ambiente e il perseguimento di un nuovo modello di sviluppo: in grado di portare benessere e progresso ma senza distruggere le architetture originarie.
Un esempio del lungo cammino di civiltà compiuto dal socialismo bolivariano in soli 16 anni. Un approccio ai diritti e alle differenze ben distante da quel che accade nel mondo capitalista, dove i migranti muoiono nelle acque del Mediterraneo e i rom – anche se nati nel paese – vengono discriminati e scacciati. Un percorso in controtendenza rispetto ai canoni del neoliberismo per cui gli indigeni, prima di Chávez, non erano neanche censiti. Alla fine degli anni ’90, il 30% della popolazione controllava il 61% della ricchezza nazionale. Oggi, mentre in Europa la disoccupazione aumenta e i salari diminuiscono, in Venezuela avviene il contrario.
Occultare i risultati ottenuti dall’economia socialista, che dedica più del 60% del Pil agli investimenti sociali, significa cancellare il “cattivo” esempio che può essere ripreso nel Nord del mondo. Per le classi dominanti europee, dar manforte alla borghesia parassitaria venezuelana, alla Confindustria, alle oligarchie che combattono con ogni mezzo per riconquistare il terreno perduto, significa quindi allontanare da sé lo spettro della disfatta e tutelare i propri privilegi. Dove non si arriva con la forza, con la guerra sporca e con il sabotaggio, si prova con la melina della cosiddetta ricerca del dialogo: per zavorrare il governo socialista, disinnescare le conquiste sociali, scontentare l’elettorato chavista, e intanto continuare a perseguire i propri affari.
Bene ha fatto, perciò, Nicolas Maduro, ad annunciare una virata a sinistra, rileggendo in questo senso la “lezione” di Allende in Cile. Le similitudini con le manovre dirette da Washington, che hanno portato al golpe pinochettista dell’11 settembre 1973, infatti non mancano. Allora, Nixon ordinava “di far piangere l’economia cilena”. Oggi, l’eco di quelle parole aleggia sul Venezuela bolivariano. Maduro ha spiegato che le politiche socialiste hanno mantenuto “tre paesi”: quello reale, che oggi ha un tenore sociale più alto da cento anni e che ha sconfitto la fame e ridotto drasticamente la disoccupazione; quello delle mafie interne, che prosperano sul contrabbando e sul mercato nero dei prodotti sussidiati; e quello delle mafie colombiane, che si arricchiscono con i traffici oltrefrontiera garantiti dai bachaqueros, gli accaparratori a pagamento. Un esempio per tutti: in Venezuela la benzina costa pochissimo, un pieno di 80 litri si paga 7,76 bolivares. In Colombia, la rivendono a 2.100 bolivares. Non passa giorno senza che la polizia scopra tonnellate di prodotti nascosti, pronti per il mercato nero. Un business che svuota il paese di quasi 40% dei suoi prodotti sovvenzionati. In questo, giocano la propaganda e gli allarmi, che spingono una popolazione ancora troppo influenzata dal consumismo, all’acquisto compulsivo. E poi c’è la piaga dei “raspacupos”: una rete di trafficanti si dedica a “raspare” le carte di credito su cui deposita il montante di dollari a prezzo agevolato richiesto per presunti viaggi che poi non vengono effettuati. In compenso, si passa la carta a qualcuno che va a “svuotarla” all’estero con acquisti inesistenti e rivende i dollari al mercato nero. Il chavismo ha istituito la possibilità che tutti possano richiedere una certa cifra annuale di dollari: così anche i meno abbienti possono effettuare viaggi all’estero. Le mafie, però, ne hanno subito approfittato. E ora il governo cerca di modificare le procedure per arginare il fenomeno.
Oggi, 7.000 imprese sono sotto inchiesta per uso irregolare di dollari. Una commissione speciale del Parlamento sta indagando sulla fuga di oltre 20.000 milioni di dollari sottratti da imprese fantasma, illegali o non iscritte al registro mercantile.
“Non ci sono più dollari per Fedecámaras”, ha detto Maduro rivolgendosi alla locale Confindustria, e ha fatto appello agli operai affinché assumano con più coscienza il controllo della produzione.
Negli ultimi 16 anni, la classe operaia ha ricevuto 28 aumenti del salario minimo, estesi anche ai pensionati. In questo anno determinante per il “laboratorio” bolivariano, comincia ora una nuova sfida.
Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: secondo William Neuman, NYT, l’ex sindaco di Caracas Antonio Ledezma non è altro che uno dei tanti oppositori incarcerati dal governo bolivariano, colpevoli per aver criticato apertamente il disastro economico causato dall’amministrazione Maduro.
Mr. Ledezma’s arrest was met with widespread international appeals for his release, increasing pressure on the government, which had begun to build last year with the jailing of other opposition figures.
Il sindaco di Caracas, Venezuela, arrestato con l’accusa di cospirazione contro il governo del presidente Nicolas Maduro, è stato trasferito in un ospedale privato per un’operazione all’ernia lo scorso sabato. Secondo sua moglie e un portavoce, sarà successivamente trasferito agli arresti domiciliari durante la riabilitazione.
Non è chiaro se al sindaco, Antonio Ledezma, sarà chiesto di tornare in prigione dopo il completo recupero.
Ledezma, arrestato dai poliziotti, pesantemente equipaggiati, dell’intelligence in febbraio, è uno dei numerosi politici oppositori di Maduro finiti agli arresti. E’ trattenuto in una prigione militare in attesa del processo.
Agenti governativi lo hanno accusato di complottare il rovesciamento di Maduro, nonostante non abbiano ancora fornito prove evidenti a supporto delle affermazioni. L’avvocato di Ledezma ha respinto le accuse.
L’arresto di Ledezma ha incontrato un diffuso appello internazionale per il suo rilascio, aumentando la pressione sul governo, pressione cominciata a montare lo scorso anno con l’incarcerazione di altre figure dell’opposizione.
Maduro, presidente di sinistra eletto nell’aprile del 2013, sta lottando con una cascata di problemi economici, compresa la recessione, l’alta inflazione e la scarsità di beni di prima necessità. Ha dichiarato che questi problemi sono parte di una cospirazione per indebolire il suo governo e ha spesso riferito di misteriosi quanto vaghi complotti per assassinarlo o deporlo.
Come gli altri esponenti dell’opposizione, Ledezma è stato un critico “non silenzioso” di Maduro.
La moglie di Ledezma, Mitzy Capriles, lo stesso sabato ha criticato il governo per il mancato rilascio di suo marito e per non aver fatto cadere le accuse nei suoi confronti. Capriles ha richiamato la pressione internazionale per forzare il governo ha riconsiderare l’imprigionamento di Ledezma.
Articolo originale:
http://www.nytimes.com/2015/04/27/world/americas/antonio-ledezma-jailed-venezuelan-mayor-is-moved-to-hospital-for-surgery.html
Rete Caracas ChiAma
Il mediterraneo sputa cadaveri di donne, uomini, bambini e bambine: disperati migranti. Già non ci sono su questa terra saturata spazi vuoti dove buttare i residui di un sistema economico, quello globale, che genera esclusione, povertà, guerra, miseria.
Proprio dalla guerra e dalla miseria fuggivano costretti quei migranti, tragicamente affogati per le stesse vie a senso unico su cui scorrono incessantemente e senza sosta risorse primarie, petrolio, ricchezze, diamanti. Per quelle tratte che furono di masse e masse di schiavi, d’esseri umani ridotti a forza lavoro dal crimine mai pagato del colonialismo europeo.
Colonialismo che s’è trasformato in imperialismo, in dominio del centro sulla periferia, in imposizione di modelli economici e politici funzionali alle necessità d’accumulazione del sistema capitalista mondializzato e “purificato” dalla globalizzazione neoliberista.
Imperialismo di cui non parlano i latifondi mediatici, e di cui poco, troppo poco, parlano i movimenti e la sinistra anticapitalista. Segno inconfondibile dell’affievolirsi di visioni lucide sul presente che viviamo. Problema del presente che dobbiamo interpretare e considerare come problema storico, sbarazzandoci delle visioni astoriche, tirate fuori con artifici intellettuali da cilindri accademici.
E invece continua a mietere vittime l’imperialismo, creando caos e disordine nei paesi ricchi di risorse naturali, per far arrivare senza indugi e resistenze la dose quotidiana al mondo occidentale, drogato di ricchezza e schiavo del consumo sfrenato.
Sugli altari della Dea Produttività, le potenze del Nord sono pronte a scarificare tutto, tutti e tutte, così dimostra la Storia. Quella stessa, curiosa Dea Produttività che grazie ai miracoli della sua Ancella Tecnologia moltiplica i pani e pesci, ma senza sfamare bocche e accumulando obesità.
E’ già stato detto che i settecento morti del Canale di Sicilia non sono una tragedia ma un crimine. Crimine di criminali che, sì, tragicamente agiscono indisturbati, forti di un potente sistema politico, economico, culturale e comunicativo che gli copre le spalle. Un sistema irrazionale e disumano allo stesso tempo: una competizione senza scrupoli tra blocchi di potere con aspirazioni a espandersi globalmente, com’è tendenza congenita del capitalismo e della sua legge di sopravvivenza.
Se non cessano a breve termine le guerre portate per il mondo dagli Stati Uniti e dalle potenze occidentali, non ci sarà cordone umanitario che regga alla distruzione totale di nazioni, culture, territori, comunità. E l’unico modo per frenare la macchina da guerra è bloccarne l’ingranaggio: l’imperialismo occidentale che mette in fuga migliaia e migliaia di persone, dall’Africa delle Primavere appassite e dei bombardamenti NATO, all’Oriente martoriato dalla jihad dell’imperialismo.
L’unica soluzione a questo crimine è la solidarietà politica, la costruzione di un internazionalismo popolare contro quello del capitale. Solidarietà politica –d’andata e ritorno- da coltivare mettendo da parte e superando la carità cristiana, che si esercita dall’alto verso il basso e che non altera mai, nemmeno un pochino, le relazioni di potere mondiale.
Solidarietà che deve rompere i limiti nazionali, perché la contraddizione essenziale è quella che oppone i lavoratori e le lavoratrici di ogni parte alle oligarchie economiche, alle multinazionali, ai monopoli finanziari. E non è stata la “Destra”, ma la degenerazione socialdemocratica della “Sinistra” europea a rinchiudere la solidarietà nelle frontiere degli Stati Nazioni. Creando benessere materiale e ideologia della falsa coscienza, hanno trasformato in “aristocrazia della classe operaia” i settori popolari dei paesi a capitalismo avanzato. Settori a cui l’Età d’oro del Capitalismo ha concesso Welfare e libertà di consumo, per scacciare dal vecchio continente i fantasmi del comunismo, allora galoppante, e rompere i legami internazionali dei proletari/e.
Tatticamente, occorre chiedere misure umanitarie per imporre all’Unione Europea la fine di questo crimine senza fine. Strategicamente, però, è più che mai necessario superare questa visione umanitaria della solidarietà e rimettere al centro della lotta l’internazionalismo antimperialista.
Mentre ideologie come il cosmopolitismo o del “villaggio globale” si confermano, sconfitta dopo sconfitta, funzionali o comunque sterili di fronte all’espansione globale del capitalismo, si fa sempre più necessaria una nuova teoria e pratica internazionalista nel ventunesimo secolo.
Un internazionalismo pensato, e realizzabile, dentro le dinamiche di riconfigurazione del capitalismo globale, basato sulle condizioni oggettive che oggi attraversano i movimenti anticapitalisti, in tutte le loro espressioni, e sulla costituzione di un soggetto che permetta alla sinistra reale di guadagnare in estensione senza perdere nella profondità dell’agire politico.
I movimenti e i settori della sinistra vera latinoamericana sono riusciti nell’impresa di costruire un fronte antimperialista. Così che oggi, mentre dalle sponde africane arrivano masse di disperati, il continente latino è terraferma. Un esempio impossibile da replicare ma, sì, una preziosa bussola per il cammino che ci oppone al sistema dei “cimiteri marini”.
Perché vi sia nel mondo la libertà di movimento per tutti e tutte, ma anche il diritto di vivere la propria terra senza dover fuggire da barbarie, bombe e miseria.
Traduzione di Lorenzo Mastropasqua
Durante il VII summit delle Americhe, i paesi membri del Petrocaribe hanno riaffermato il loro legame di cooperazione e di alleanza in campo energetico di fronte alle pretese di divisione del governo degli Stati uniti. Questo blocco regionale creato nel 2005 dai comandanti delle rivoluzioni Bolivariana e Cubana, rispettivamente Hugo Chavez e Fidel Castro, è composto da 19 Stati che hanno implementato nuove forme di scambi commerciali ed economici per creare dei meccanismi di compensazione in un ambito di complementarità e rispetto reciproco. Fin dall’inzio Petrocaribe è stato attaccato dall’estrema destra venezuelana e nord americana perché, così dicono, utilizza in maniera inappropriata il petrolio e i ricavi provenienti da esso. E pensare che nel periodo in cui i “transnazionali” hanno operato nel paese, più di 50 000 milioni di barili di petrolio sono stati prelevati per sostenere l’economia e lo sviluppo industrial militare nord americano. Ancora un tentativo per indebolire le relazioni di unione e cooperazione tra i paesi dei Caraibi e dell’America latina è stato portato avanti dal vice presidente statunitense Joe Biden, che ha incontrato nel marzo scorso dei rappresentati delle isole caraibiche, incontri nei quali faceva allusione a una presunta crisi di Petrocaribe e una delegittimazione delle istituzioni venezuelane.Sulla stessa lunghezza d’onda il 9 aprile durante una visita in Jamaica in vista del VII summit delle Americhe, il presidente statunitense Barack Obama ha proposto ai dirigenti della comunità dei Caraibi (Caricom) l’alternativa dello “sviluppo energetico pulito” e la la messa in opera di un gruppo di ricerca sulla fabbisogno energetico per ridurre la domanda dei paesi caraibici del petrolio venezuelano attraverso Petrocaribe, per questo, l’impero degli Stati uniti ha offerto un contributo 20 milioni di dollari al Caricom. Dal giungo 2014, i prezzi degli idrocarburi hanno sofferto una diminuzione del 60% in seguito a una strategia intrapresa dagli Stati uniti per inondare il mercato internazionale con il gas di scisto da loro prodotto. L’aumento smisurato del fracking (tecnica di estrazione del gas di scisto molto invasiva per l’ambiente) ha uno scopo politico: provocare la caduta dei prezzi e nello stesso tempo minare le economie dei paesi produttori di idrocarburi come l’Iran, la Russia e il Venezuela.Il riavvicinamento di Obama al Caricom ha avuto luogo giusto un mese dopo l’emanazione da parte del presidente statunitense del decreto che classifica il Venezuela come una minaccia in violazione del diritto internazionale, per questo i Caraibi hanno alzato la voce chiedendo rispetto:
“Gli accordi proposti dal governo del Venezuela attraverso Petrocaribe sono alcuni dei migliori esempi di cooperazione sud-sud e sono coerenti con lo scopo di questo Summit, la prosperità nell’equità” Ha dichiarato la prima Ministra jamaicana, Portia Simpson-Miller. Il presidente di Haiti Michel Martelly, ha sottolineato l’impatto sociale che ha avuto la creazione di Petrocaribe per la nazione delle Antille, e il resto della regione, poiché dal 2005 questo meccanismo ha investito 3944 milioni di dollari nella maggior parte in 432 programmi sociali: “questi programmi costituiscono un’assistenza inestimabile per il popolo di Haiti, con questo programma il mio governo ha potuto rispondere alle proprie priorità, senza di esso non saremmo riusciti a essere in condizioni per far fronte in maniera adeguata a certi bisogni essenziali”. Questo intervento è stato simile a quello del capo di Stato del Nicaragua, Daniel Ortega che ha segnalato “che gli accordi stabiliti nella regione “latino-americana” sono dei programmi sociali di complementarità e di commercio giusto”A nome del Caricom, la prima ministra di Trinidad e Tobago, Kamla Persad-Bissessar, ha chiesto al governo nord americano l’abrogazione del decreto imperialista contro il Venezuela: “ nel Caricom siamo solo paesi piccoli e indipendenti ma molto a favore della democrazia e dello Stato di diritto. Per questo crediamo profondamente nella sovranità delle nazioni e di conseguenza, noi siamo con voi presidente Maduro, per la vostra sovranità e per l’autodeterminazione e il diritto del vostro popolo a gestirsi come meglio crede”In questo contesto, il capo di Stato venezuelano Nicolas Maduro, ha riaffermato che Petrocaribe è una realtà, non è una promessa da marinaio, non è un progetto per dominare i paesi con il petrolio.“Petrocaribe è un progetto per liberare i popoli, è un progetto di solidarietà” ha sottolineato, evocando il fatto che dal 2005, i paesi che fanno parte di questo accordo hanno aumentato del 25% il loro PIL ed hanno anche aumentato il loro livello di distribuzione del reddito e di uguaglianza.
Un meccanismo indispensabile alla cooperazione
In un’intervista recente a Telesur, il presidente di Petrocaribe, Bernardo Alvarez, ha sottolineato che l’alleanza energetica è un meccanismo indispensabile di cooperazione per lo sviluppo sociale dei popoli, screditando cosi i tentativi degli Stati uniti che cercano di creare istanze contrarie ad esso.Oggi più che mai è indispensabile che i paesi dei Caraibi abbiano un meccanismo di cooperazione come quello messo in piedi da Petrocaribe. Per questo quando vediamo tutta questa campagna fatta dagli Stati uniti per colpire Petrocaribe e il Venezuela una delle cose che risalta è che al posto di promuovere un processo di riavvicinamento per cooperare per il bene dei Caraibi, gli Stati uniti cercano di mettere in evidenza uno scenario di confronto politico energetico tra il Venezuela e gli U.s.a. Fa ridere il fatto che veniamo sempre invitati a partecipare a dei programmi alternativi a Petrocaribe senza che realmente se ne sviluppi uno.
La forza di Petrocaribe
Attualmente, Petrocaribe, garantisce il 40% del fabbisogno energetico dei suoi membri e conserva una media degli scambi di 100 000 barili.“Petrocaribe è profondamente umanista, un elemento di avvicinamento, di rispetto, di relazioni di ricerca di uno sviluppo comune sulla base dell’uguaglianza degli Stati, e della solidarietà fra i popoli” ha dichiarato il presidente Nicolas Maduro, durante il IX summit straordinario dei Capi di Stato e di governo facenti parte di Petrocaribe nel marzo scorso, a Caracas.
Nel quadro della sua politica di giustizia e di complementarità, Petrocaribe prevede il finanziamento, con delle condizioni favorevoli, della fornitura di petrolio di cui il 50% dei costi sono pagati in 90 giorni e il resto della somma spalmabile in un tempo che può arrivare anche a 25 anni.
In questa maniera, durante gli ultimi 9 anni, il meccanismo di cooperazione ha fornito 301 milioni di barili, equivalente a 28272 milioni di dollari per garantire la sicurezza energetica dei paesi firmatari.
Questo accordo ha contribuito a rivendicare la sovranità della regione, è stato utile a promuovere l’uguaglianza, far diminuire gli indici di povertà e stimolare lo sviluppo delle fonti di energia alternative, cosa molta lontana dalla concezione coloniale di Washington e dei suoi alleati.
Al di là della cooperazione energetica con la quale è stato formato il blocco regionale, Petrocaribe ha approvato l’instaurazione di una zona economica incentrata sul campo dei trasporti e delle comunicazioni, sulla catena di produzione, sul turismo, sul commercio e sulla integrazione sociale e culturale.Inoltre Petrocaribe ignetterà 200 milioni di dollari nel Fondo d’Investimento Solidale Petrocaribe-Alba per lo sviluppo di molteplici progetti di approvvigionamento energetico complementare e comincerà un piano per combattere la povertà intitolato Hugo Chavez che sarà sviluppato anche con la Fao per promuovere dei miglioramenti nell’accesso dei popoli della regione agli alimenti.“Petrocaribe senza alcun dubbio, è stato il progetto che, nella storia dei Caraibi, ha provocato le più importanti trasformazioni positive nella vita economica e sociale dei nostri popoli, in una visione integrante, unitaria e profondamente umanista”, ha sottolineato il presidente Maduro durante quest’incontro a Caracas
Link in francese http://cubasifranceprovence.over-blog.com/2015/04/amerique-latine-les-pays-de-petrocaribe-reaffirment-leur-unite-face-aux-tentatives-de-division-des-etats-unis.htmlLink in spagnolo http://www.avn.info.ve/contenido/pa%C3%ADses-petrocaribe-reafirman-su-uni%C3%B3n-frente-pretensiones-divisionistas-eeuu
di Geraldina Colotti per CaracasChiAma
Qualcosa si sta muovendo anche in Italia. La rivoluzione socialista bolivariana non è più una faccenda da addetti ai lavori, magari da guardare di sbieco. Qualcosa si sta muovendo: almeno in certe aree dei movimenti e della sinistra di alternativa, che iniziano a cogliere il vento nuovo proveniente dall’America latina. Certo, il disastro prodotto dalla fine del grande Novecento è di proporzioni immani. L’assenza di un pensiero forte in grado di guidare la ripresa del conflitto in una prospettiva di trasformazione radicale è pesante. La presenza di vecchi e nuovi pompieri, pronti a soffocare qualche promettente fiammella, resta ingombrante. L’incapacità di unificare strati sociali e soggetti frammentati è palese. Altrettanto evidente è l’incapacità di contrastare l’egemonia dei vincitori attingendo alla fucina del socialismo e ai suoi strumenti. Dall’Europa non c’è da aspettarsi una sponda forte in tempi brevi: non nel senso di un progetto antagonista al capitalismo come quello che ha sparigliato le carte del sistema negli anni ’70. Quel mondo non c’è più. Oltre a pompieri, poliziotti, complici o rifarditi, resta solo qualche ex rivoluzionario attempato a predicare al deserto di memoria e di pratiche incisive.
Eppure, qualcosa si sta muovendo.
Vogliamo partire da tre fatti non certo giganteschi, ma significanti.
In primo luogo, il convegno sull’Alba come modello per l’Europa. Un incontro organizzato dal movimento 5 Stelle in collaborazione con alcune realtà della sinistra di alternativa che, a differenza dei 5S, guardano al tema in una prospettiva marxista e lo considerano uno strumento di contrasto alla crisi sistemica del capitalismo. Un convegno che ha lasciato tracce, benché sia stato silenziato dai grandi media e abbia registrato la totale assenza di quelle aree della sinistra moderata che siedono sui banchi del parlamento e che si dicono critiche rispetto al partito di governo (il Partito democratico)
Vorremmo poi segnalare il secondo incontro di Caracas chiAma, la rete di sostegno alla rivoluzione socialista bolivariana, che si è tenuto a Napoli. Tre giorni di dibattito e conferenze, articolati intorno a tavoli tematici sui nodi del conflitto: dal lavoro, alla questione di genere, al potere e alla rappresentanza, a un nuovo internazionalismo. Punti e suggestioni che provengono dal “laboratorio” venezuelano in cui si sperimenta un felice incontro tra “vecchio” e “nuovo” e una dialettica feconda tra i vari filoni di pensiero che hanno attraversato la storia del Novecento. Grande partecipazione e anche la possibilità di constatare che il “modello bolivariano” è fonte di ispirazione fra alcuni sindaci più vicini alla democrazia partecipativa, com’è quello di Napoli, Luigi de Magistris.
L’iniziativa è stata organizzata e promossa da tre centri sociali occupati e autogestiti, che hanno dialogato, a partire da pratiche diverse, proprio raccogliendo lo stimolo proveniente dal Venezuela. All’ex Asilo Filangieri hanno parlato soprattutto le rappresentanze diplomatiche e istituzionali, spiegando il lungo cammino percorso dal Venezuela chavista. Alla Mensa occupata si sono articolati i tavoli tematici, introdotti da un’efficace relazione dell’ambasciatore. All’ex Opg occupato – un antico manicomio criminale poi chiuso e dismesso – si è svolta la giornata conclusiva. Non venivano forse considerati pazzi Bolivar e poi Chavez? Non sono forse considerati pazzi tutti i precursori, i rivoluzionari, che sfidano le armi del sistema e le sue convenzioni?
La terza iniziativa è stata ralizzata domenica 19, giornata mondiale della solidarietà al Venezuela. In tanti si sono dati appuntamento a Montesacro, davanti al monumento di Bolivar, dov’è avvenuto lo storico giuramento del Libertador. Nel 2005, venendo in visita in Italia, Chavez vi ha tenuto un indimenticabile discorso e ha incontrato le organizzazioni popolari. Domenica, tutti gli interventi hanno evidenziato l’importanza del modello bolivariano per la ripresa del socialismo: un’alternativa all’oppressione e alla barbarie, non solo in America latina, ma in tutti gli angoli del pianeta. Un incontro partecipato e non rituale, anche frutto di una “diplomazia dal basso” poco convenzionale praticata dalle rappresentanze del Venezuela.
Qualcosa si muove anche in Italia, dicevamo. Ma in quale direzione? Cosa ci serve del laboratorio chavista e bolivariano? Il Venezuela è “una minaccia inusuale e straordinaria”, ha detto Obama spiegando il decreto che rende esecutive le sanzioni contro il governo Maduro. Un’affermazione ridicola, certo, come ha sottolineato la presidente argentina Cristina Kirchner durante il VII vertice delle Americhe a Panama. Il discorso della borghesia, però, riflette in modo capovolto la verità del socialismo e le sue ragioni. L’esempio del Venezuela è senz’altro una minaccia per gli interessi del capitalismo. Una minaccia “inusuale”, certo: perché Chavez è andato al potere scompaginando il teatrino asfittico dei giochi istituzionali. Perché quelli che non avevano mai contato niente hanno improvvisamente conquistato il centro della scena. Perché dal socialismo demonizzato è nata una nuova leva di rivoluzionari, meno dogmatici ma più incisivi. Una minaccia straordinaria, ha ragione Obama: perché in soli 15 anni, nel solco di Cuba e dei suoi grandi ideali, ha riconfigurato un continente e ha proiettato la sua aura benefica fino al centro del capitalismo. Una minaccia straordinaria perché, coniugando in modo originale le urne e la piazza, l’autodifesa dei quartieri e l’unione civico-militare ha prodotto una nuova alchimia tra conflitto e consenso che si alimenta della prospettiva rivoluzionaria e la alimenta. La partita che sta giocando il Venezuela è quella di demolire l’impalcatura del vecchio stato borghese, facendogli crescere all’interno un nuovo seme: quello delle comuni, dell’autogestione, di una nuova dialettica tra mutualismo e centralizzazione.
Una dinamica estranea a una sinistra che ha fatto mercato della storia, del conflitto e di quella “anomalia” che ne faceva un unicum potenzialmente gravido di nuove prospettive. Una “sinistra” che vota l’appello contro il Venezuela, promosso dal peggio delle destre latinoamericane, ma considera una minaccia l’esistenza del presidente operaio, Nicolas Maduro.
Eppure, qualcosa si muove. Anche nel cuore decomposto di questa vecchia Europa.
Traduzione di Raffaele Piras
Jesús Chucho García, ambasciatore afrovenezuelano in Angola
Nonostante la Cumbre de las Américas realizzata la settimana scorsa a Panamà sia stata una delle più straordinarie dal punto di vista politico, riflettendo l’inarrestabile processo di sovranità dei nostri paesi, è stata anche uno dei summit in cui i temi che riguardano cinquanta milioni di indigeni e centocinquanta milioni di afrodiscendenti sono stati totalmente omessi, trascurando parte delle grandi problematiche che toccano i nostri paesi.
Volando basso, sono stati semplicemente menzionati senza sottolineare gli assassini, dislocazioni forzate, razzismo e discriminazione di queste due componenti etniche che con le mani e intelligenza hanno costruito questo continente. La maggior parte dei presidenti ha ignorato che il canale di Panamá è stato costruito, perlopiù, da afrodiscendenti provenienti da quasi tutta la regione del continente.
Molti presidenti e la famosa Cumbre de los Pueblos hanno ignorato che è proprio lì che si consumò uno dei peggiori massacri di studenti, per la maggior parte afroamericani, quando nella decade dei ’60 osarono togliere la bandiera degli Stati Uniti per sostituirla con quella di Panamá come rivendicazione di sovranità panameña sul canale.
Nella strategia della cosiddetta Alianza para la Prosperidad del summit, non sono stati menzionati gli impatti ambientali negativi, provocati dalle corporazioni transnazionali nei corridoi strategici-ecologici, dal Chiapas all’Amazzonia, l’aumentare della voragine nell’Amazzonia brasiliana e i disastrosi effetti delle compagnie petrolifere in Ecuador.
Indigeni e afrodiscendenti in cifre
Secondo l’UNICEF ‘’ In America Latina e Caraibi, oltre ai 40-50 milioni di indigeni, sono presenti 150 milioni di afrodiscendenti distribuiti per tutta la regione. Si stima che dei circa 200 milioni di indigeni e afros circa la metà siano bambini e adolescenti minori di 18 anni .’’. Più di cinque mila lingue indigene, così come le varianti creole dei Caraibi, la lingua Garifuna parlata in Centroamerica e Belice, la lingua palenquera e quelle afroreligiose, conferiscono una grande diversità culturale al nostro continente. Nel summit non è stato mostrato nemmeno un simbolo di queste culture ancestrali, se non per essere sminuite o folclorizzate.
Per l’UNICEF ‘’ La marginalità e l’esclusione sono stati convertiti in parte strutturale di queste popolazioni a partire dall’instaurazione del regime di conquista e di colonizzazione europeo del XV secolo, che cercava la manodopera per i lavori agricoli e di miniera che alimentavano le città. La schiavitù e i meccanismi per mantenerla in vita fanno parte dell’olocausto più grande che abbia sofferto l’umanità. Come frutto del razzismo e della discriminazione, questi popoli sono caratterizzati da più bassi livelli nutrizionali, minor copertura e qualità nei servizi educativi e un limitato o inesistente accesso ad altri servizi basilari come quello sanitario, quello dell’acqua, e quello della protezione rispetto al resto della popolazione creolo-meticcia.’’.
Decennio Afrodiscendente
Ci troviamo nel contesto del Decenio de los Pueblos Afrodescendientes (2015/2024), in cui i paesi si sono compromessi nell’implementare un piano d’azione, che è però sabotato da parte di quei paesi che hanno partecipato al terribile commercio di africani e del lavoro forzato di milioni di uomini, donne e bambini per la ‘’prosperità coloniale e neocoloniale’’ delle grandi borghesie, che in qualche maniera contribuiscono tutt’oggi a mantenere in vita forme di potere neocoloniale in molti dei nostri paesi. È necessario innanzitutto che i paesi che nel summit hanno avuto il coraggio di esigere autonomia, sovranità e dignità, esigano anche l’inclusione dei ‘’condannati della terra ’’ che per secoli hanno sofferto discriminazione e violenza etnica. Gli ultradifensori dei diritti umani che hanno attaccato il Venezuela, come l’ossessivo ex presidente messicano Felipe Calderón o l’ex presidente colombiano Andrés Pastrana, non hanno detto assolutamente niente sui massacri di indigeni e afros nei loro rispettivi paesi, evidenziando la struttura mentale razzista e discriminatoria. L’auspicio è che nel summit della CELAC in Ecuador si conformi il comitato dei popoli afrodiscendenti per cominciare a saldare questo debito storico.
Fonte :
http://alainet.org/es/articulo/169034
Per il mercoledì Narrazioni tossiche: sabato 11 Aprile, sulle maggiori testate nazionali, Associated Press ci presenta un Maduro remissivo e in difficoltà, alle prese con un Obama concreto e protagonista nella salvaguardia, e nella diffusione, dei valori democratici.
President Obama indicated our strong support for a peaceful dialogue between the parties within Venezuela,” said Bernadette Meehan, a spokeswoman for the White House’s National Security Council. “He reiterated that our interest is not in threatening Venezuela, but in supporting democracy, stability and prosperity in Venezuela and the region.
Sabato il presidente Barack Obama ha incontrato privatamente il suo omologo venezuelano, in mezzo all’aspra disputa fra le due nazioni dopo le recenti sanzioni Usa sui sette funzionari venezuelani.
L’incontro tra Obama ed il presidente Nicolas Maduro ha avuto luogo parallelamente al Summit delle Americhe e, secondi fonti della Casa Bianca, non autorizzate però ha rilasciare un commento ufficiale, è durato solo pochi minuti.
Lo scontro è avvenuto dopo che l’amministrazione Obama ha dichiarato che la crisi economica e politica in Venezuela è una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti, e il congelamento dei beni nel paese di sette funzionari, accusati di violazione dei diritti umani nelle proteste antigovernative dello scorso anno in Venezuela.
Maduro e gran parte dell’America Latina hanno condannato l’azione come un ritorno ai tempi della Guerra Fredda, azione che aumenta solo la tensione in un Venezuela profondamente diviso, in cui l’opposizione chiede le dimissioni di Maduro.
“Il presidente Obama ha indicato il nostro forte supporto per un dialogo pacifico fra la parti in Venezuela”, ha detto Bernadette Meehan, portavoce per il Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca. “Ha ripetuto che il nostro interesse non è intimidire il Venezuela, ma supportare la democrazia, la stabilità e la prosperità in Venezuela e nel resto della regione.”
In seguito Maduro ha descritto l’incontro come franco e cordiale, dicendo che i dieci minuti di consultazione possono aprire la strada per un significativo dialogo fra le due nazioni nei prossimi giorni.
“Gli ho detto che non siamo nemici degli Stati Uniti” ha dichiarato Maduro. “Ci siamo detti vicendevolmente la verità.”
Obama non ha menzionato il confronto nelle osservazioni alla conclusione del summit.
Ma durante un intervento, Obama ha difeso il diritto della sua amministrazione di criticare linee politiche con cui non si trova d’accordo.
“Quando parliamo apertamente di qualcosa come i diritti umani, non è perché pensiamo di essere perfetti, ma perché riteniamo che il concetto di non imprigionare persone se non sono d’accordo con te, sia quello giusto” ha detto hai leader regionali, senza menzionare direttamente il Venezuela.
Articolo originale:
http://www.nytimes.com/aponline/2015/04/11/world/americas/ap-americas-summit-obama-maduro.html